La CALABRIA (così i Bizantini chiamarono la romana Regio III “Lucania et Brettii”) è stata, nonostante le alterne vicende, la regione italiana che più a lungo è rimasta nell’orbita dell’IMPERO ROMANO D’ORIENTE.
Dal 527 d.C., con la conquista di gran parte dell’Italia per mano di GIUSTINIANO durante la GUERRA CONTRO I GOTI, fino al 1059 d.C. (conquista di REGGIO CALABRIA da parte dei NORMANNI), i BIZANTINI determinarono in modo incisivo la CULTURA materiale, le vicende politico- amministrative e la RELIGIOSITA’ di vaste aree e città dell’antica Bruzia.
La valle del CRATI e parte della SIBARITIDE furono amministrate dai Longobardi prima sotto controllo diretto del Ducato di Benevento, fino all’839 d.C., poi sotto la tutela del Principato di Salerno. ROUSIANON (Rossano, che i latini chiamavano Roskianum) divenne man mano una vera e propria fortezza bizantina, grazie anche alla sua posizione strategica, essendo la cittadina allocata su un acrocòro naturale. Già durante le incursioni barbariche la città fu, secondo lo storico di cultura greca Procopio, teatro di battaglie memorabili, come quella combattuta nella contrada Lampa fra Visogoti e Bizantini.
Il presunto LIMES, ovvero il confine politico-militare, fra l’area neogreca bizantina (Ducato di Calabria, successivamente Thema) e quella romano- germanica dei Longobardi, è da collocarsi subito dopo l’oppidum Roskianum (Rossano) nei pressi di Cassanum (odierna Cassano allo Jonio), per il versante ionico, mentre per il versante tirrenico il limite va collocato nell’ area di Consentia (Cosenza), già unificata come GASTALDATO Longobardo (ovvero distretto territoriale-militare con un funzionario di nomina regia), in direzione degli attuali borghi di Malvito-Amantea-Laino.
Nel VII° e VIII° secolo Rossano, come anche il resto della Calabria, fu sottoposta a un processo di neoellenizzazione, con l’introduzione della lingua greca e della religione ortodossa (il clero doveva prestare GIURAMENTO al PATRIARCA di COSTANTINOPOLI, non più al Vescovo di Roma, al Papa). La Guerra Iconoclasta, con la relativa persecuzione dei monaci “adoratori di immagini”, combattuta dal 713 fino all’843 internamente ai territori governati dai Basileus di Bisanzio, comportò l’emigrazione massiccia, anche nei territori della Sibaritide, di figure importanti del clero fedele all’ideologia iconodula (coluro che erano favorevoli all’uso dell’immagini sacre). Altra emigrazione fu dovuta all’espansione degli Arabi in aree neoellenistiche del medio-oriente. Fu in questo periodo che, probabilmente, l’Evangelario greco del VI sec., di provenienza siro-palestinese, e denominato – nella sua recente riscoperta ad opera di eruditi tedeschi – CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS, pervenne in Rossano, probabile “tesoro” portato da monaci basiliani in fuga dall’invasioni musulmane.
La Conquista ARABA della Sicilia (iniziata nell’827) comportò il passaggio dello stratego dal Thema di Sicilia al Ducato di Calabria, che divenne Thema. Successivamente il Thema di Calabria fu unificato (nel 965) con la Puglia salentina e il barese attraverso la figura del CATEPANO, il Governatore unico bizantino, di nomina imperiale risiedente a Bari.
ROSSANO fu sede di una Diocesi che faceva direttamente riferimento alla METROPOLIA di Reggio Calabria. Con la scomparsa di Thurii fu con molta probabilità Roscianum ad essere la principale città sede di Diocesi nel nord est ionico (ad eccezione di Cassanum). Le fonti storiche indicano in Cosma il vescovo l’iniziatore della diocesi rossanese nell’ 820 d.C., anche se, essendo le fonti ecclesiastiche in alcuni casi incomplete, è possibile retrodatare anche di qualche decennio.
Secondo l’erudito rossanese Alfredo Gradilone “Rousianon-Rossano divenne per un periodo significativo “capitale” dei possedimenti bizantini in Calabria, dopo la caduta di Reggio Calabria in mano Longobarde e la conquista araba di Bari. Nella città risiedono, infatti, alti dignitari come il Domestico Imperiale, il Governatore Generale e il Protospatario (l’esattore fiscale per conto dell’Impero).
Sede dello Stratego (il governatore del Thema, di nomina imperiale, secondo la suddivisione bizantina dei poteri) Rossano divenne <<… l’unica testimonianza vivente di un mondo greco e di una civiltà che continuava a scomparire altrove e di cui essa mantenne viva la tradizione con la sua Chiesa e il suo potente mezzo diffusivo del monachesimo basiliano >> (Alfredo Gradilone, Storia di Rossano, cit. pag. 43)
Il paesaggio naturale e la notevole conoscenza dell’agricoltura dei Bizantini fece di Rossano e dintorni un giardino caratterizzato da campi coltivati a frumento, orzo, legumi, da uliveti e vigneti e distese di alberi di frutta e querce e castagno. Importantissima fu la gelsicoltura (baco da seta) e, naturalmente, un efficiente sistema di mulini.
Il KASTRON rossanese era un luogo di protezione per la comunità che aveva visto nel corso dei secoli invasioni, scorrerie piratesche e guerre devastanti sul proprio territorio. Nikephoros Fokas, il condottiero bizantino che fu artefice della riconquista di gran parte dei territori caduti in mano agli Arabi (888-894 d.C.), concentrava parte della flotta imperiale proprio nel porto di Rossano.
La distruzione di altre città calabresi durante l’altra invasione araba, quella dell’esercito Saraceno di Jafar Obeid, nel 925 d.c., rafforzò la potenza di Rossano, che accoglieva nelle sue mura i profughi, spesso dignitari, nobili, valenti artigiani e uomini di cultura ebrei o greci. Gli assalti proseguirono durante tutto il secolo ma nel 970 Rossano subì l’attacco più poderoso, Resistendo alle armate musulmane.
A ridosso della città vi era la cosiddetta Tebaide rossanese: venivano cioè utilizzate grotte (le Laure) da monaci basiliani, che vivendo in solitudine e preghiera, proseguivano così la loro ascesi spirituale. L’area in questione, nei pressi della Chiesa di San Marco (altro importante monumento Bizantino della Città) riguarda il Vallone San Nicola, dove ancora oggi persistono in uno stato di abbandono e di degrado alcune di queste laure eremitiche.
Proprio la chiesa di San Marco, paragonabile per stile e importanza alla Cattolica di Stilo, rappresenta bene quello straordinario movimento dei basiliani che hanno dato tanto alla città di Rossano. In origine era probabilmente un oratorio usato dagli anacoreti, i monaci-asceti, edificato nella prima metà del X° secolo.
La chiesa della Panaghia (“tutta santa”), anch’essa edificata nel X° secolo, è un altro esempio della importanza della presenza dei basiliani per l’architettura neogreca. Furono gli alti dignitari bizantini di Rossano (fra cui ricordiamo Euprassio, fondatore del convento di Sant’Anastasia, ora distrutto) ad abbellire la città con queste opere che hanno attraversato indenni i secoli o di cui se ne conserva memoria.
Altro monumento celebre: Chiesa del Pathirion, con annesso il suo Monastero (costruzione del secolo successivo, secolo XII, ma sempre d’impronta architettonica basiliana, ispirata alle coeve costruzioni normanne-arabe)
Delle grandi famiglie indigene che ebbero importanza durante il periodo bizantino conosciamo alcuni nomi fra cui i Malena e forse, gli Amarelli. Immensa la figura di Nicola Malena, il Santo Nilo venerato dalle Due Chiese (Cattolica ed Ortodossa)
San Nilo (Rossano, 910 ca. – Grottaferrata, Roma, 1004), appartenente alla nobile famiglia Malena, nato a Rossano col nome di Nicola, secondo quando ci riferisce il suo concittadino biografo e discepolo, Bartolomeo, fu sempre attratto dalla vita appartata e contemplativa. Altre narrazioni più laiche descrivono un uomo che, sposatosi e avendo avuto un figlio o figlia, fu in piena crisi spirituale, dopo una vita frivola e piena di eccessi, come succede in gioventù. Da ciò il suo trasferimento nel Mercurion, ai confini calabro-lucani attuali, una sorta di Monte Athos calabrese in una caverna in solitudine e preghiera, poi nei cenobiti (piccoli gruppi di monaci) che sugli esempi dei anacoreti basiliani si vennero a costituire in varie parti e nelle montagne rossanesi. Le minacce dei pirati Saraceni in quei territori allontanarono il santo e i suoi discepoli, trasferendosi nella sua città natale dove fondò un monastero (952-53). Qui operò da taumaturgo e da asceta (sulle orme di San Basilio il Grande), rafforzando il movimento monastico. Nel 979, sempre per via delle
incursioni dei Saraceni, San Nilo si trasferì a Capua, dove conobbe l’abate benedettino Aligerno di Montecassino che gli offrì il monastero di Valleluce. Successivamente con dedizione e forza di fede costruì a Grottaferrata, nei pressi della villa di Cicerone e con l’aiuto di Bartolomeo, suo discepolo e conterraneo, la straordinaria Badia, esempio universale dell’architettura prodotta dal monachesimo orientale. A San Nilo, in ultimo, si devono lo svilupparsi della letteratura innografica e delle arti calligrafiche.
Contemporaneamente alla figura di S. Nilo si distingueva nell’accanita lotta in seno al Papato la personalità di Giovanni Filagato (“amante della beatitudine”, così significa il soprannome attribuito) salito al soglio di Pietro come antipapa nel 997-998. Essendo stato una figura controversa e calunniata, per via delle sue relazioni sia con i Bizantini che con la dinastia Sassone degli Ottone, fu portato sul soglio dopo l’allontanamento del “legittimo” Papa (figura altrettanto controversa), suscitando l’ira dell’imperatore stesso. Filagato fu poi deposto e mutilato e trascinato per le vie di Roma, morendo in carcere.
Già tre secoli prima (704-707 d.C.) la città di Rossano aveva dato un altro Papa, nella figura del dotto Giovanni VII.
Ultima e notevole testimonianza dell’antichità bizantina di Rossano, nonostante i pareri contrastanti fra esperti e le leggende sorte intorno alla sua origine, è rappresentata dalla ICONA della SANTISSIMA VERGINE MARIA appartenente alle icone dette ACHEROPOIETOI, cioè “non disegnate da mano dell’uomo” (popolarmente l’icona è chiamata Madonna dell’Acheropita, nome comune di donna diffusissimo nel rossanese e oltre).
La straordinaria continuità della cultura “basiliana” si manifesterà anche con la fondazione da parte di Bartolomeo di Simeri del Cenobio di Santa Maria Hodigitria nuova, conosciuto con nome di Monastero del Patire o Pathirion (XII secolo).
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